top of page

Liceo Classico "Galileo" di Firenze

Copyright: una regola per la libera creatività

Oggigiorno ampliare le nostre conoscenze musicali, letterarie o cinematografiche è semplice e soprattutto a costo zero: con una buona fibra internet è sufficiente aprire Google e digitare il titolo del contenuto su cui vogliamo approfondire. Lo streaming e più in generale il mondo web ha aperto le porte della cultura a chiunque, che abbia un reddito alto o basso; pertanto si potrebbe osare dire che internet sia l’akmé della stessa rivoluzione della comunicazione che ebbe inizio oltre 500 anni fa con l’invenzione della stampa e che ha portato alla diffusione popolare della cultura. 

Nonostante sia evidente come tale processo si sia mostrato vantaggioso per tutto il genere umano, non si può negare che ci siano state e che ci siano ancora delle vittime, in particolare negli ultimi decenni, da quando il pubblico di nativi digitali ha preferito il prodotto streaming a quello fisico.

Basti considerare il caso della celebre cantante statunitense Taylor Swift, che nel 2014 rimosse l’intera discografia dalla nota piattaforma musicale Spotify e attaccò pubblicamente attraverso il social Tumblr la Apple Music, per poi deporre le armi solo nel 2017. Sempre su Spotify sono stati assenti fino al 2013 i Led Zeppelin, fino al dicembre 2015 i Beatles, fino al 2016 Adele e fino all’anno scorso anche Lucio Battisti; mentre altri artisti, come David Lowery e Aloe Blacc hanno intrapreso vere e proprie battaglie contro i servizi on demand, accusati di non pagare il dovuto i produttori dei loro stessi prodotti.

“Si continua a dire che è un’epoca in cui la musica è gratis, il cinema è gratis. Non è vero. I fornitori di servizi fanno soldi. Google. You Tube. Un sacco di soldi, facendo pesca a strascico come nell’oceano, prendono tutto quello che c’è trascinando”: con queste parole Thom Yorke, voce del gruppo rock Radiohead, accusò in un’intervista al quotidiano “Repubblica” i colossi dei Content provider, ovvero i fornitori di servizi a privati e ad aziende che a pagamento o gratuitamente consentono l’accesso a internet. Fra questi vi ritroviamo tutti i motori di ricerca, i dizionari e le enciclopedie online che oggi ci permettono di apprendere il significato di una parola in un attimo, di leggere le notizie quotidiane senza andare in edicola, di sfogliare un libro che non abbiamo nella nostra biblioteca o, appunto,di ascoltare un nuovo genere musicale a cui ci piacerebbe avvicinarci. Eppure gli stessi che hanno reso il sapere accessibile, ledono coloro che si trovano alla base del sapere stesso: artisti, cantanti, scrittori e anche giornalisti. Tant’è vero che tutte le testate autorevoli sono ormai a pagamento anche online, mentre quelle più giovani o meno conosciute si trovano in difficoltà (Buzzfeed e Vice, siti di informazione statunitensi, sono stati recentemente costretti a drastici licenziamenti e riduzioni delle spese).

La storia di questo contrasto fra internet e creativi si può riassumere in un’immagine: una C cerchiata, il copyright. Il caratteristico simbolo © tutela la riproduzione di opere non autorizzata dall’autore, a protezione del diritto di rivendicare la paternità dell’opera, di opporsi a qualsiasi deformazione e soprattutto di sfruttare economicamente in modo esclusivo l’opera protetta. Per questo precisamente un anno fa l’Europarlamento ha votato sì alla nuova direttiva europea sul diritto d’autore che ad oggi impone ai giganti di internet di condividere i ricavi ottenuti a fronte dell’utilizzo di contenuti originali con artisti e giornalisti. La riforma della direttiva ha rappresentato una vittoria importante per tutti i creativi, ma è stata solo la prima battaglia di una lunga guerra che sarà sempre più protagonista nel dibattito sociale futuro.

Infatti con il progresso della digitalizzazione il ruolo di intermediario fra artista e pubblico è stato investito dal World Wide Web, il quale fu reso di pubblico dominio dai suoi stessi inventori nel 1993, ispirati dal sogno di una realtà libera che intrecciasse in sé le differenze culturali dell’intero globo. Però il W.W.W. ha tradito l’ideale patrio di libertà con la privatizzazione (cfr. Content Provider) e ha gradualmente affiancato l’industria culturale; pertanto alla maggior parte dei consumatori quest’ultima pare soltanto un ostacolo economico alla conoscenza in un presente in cui il creativo può mettersi direttamente in contatto con il pubblico senza la mediazione di terzi.

Dunque il parlamento europeo ha sbagliato a considerare internet un nemico dei creativi? Possono i Content Provider diventare invece alleati che permettano all’artista contemporaneamente di trarre un profitto dalle sue opere e di avere un contatto diretto con il suo pubblico? Certamente questo è un modo totalmente nuovo di ripensare la distribuzione del sapere, che renderebbe obsoleta tutta l’industria culturale (editorie, case discografiche e cinematografiche) e incaricherebbe aziende come Google, Facebook, Youtube e Wikipedia della diffusione di massa dei beni culturali e informativi.

Seppure possa apparire magnifico un futuro in cui musica, film, notizie e libri siano totalmente gratis (senza dover prendere vie scomode che ci installano un buon numero di virus sui nostri dispositivi) e a portata di click, è necessario riconoscere che andrebbe a crearsi un far-web dove i creativi più meritevoli non sarebbero adeguatamente compensati. Uno scenario simile lo si può già osservare nell’ambito della comunicazione giornalistica: quante testate autorevoli vengono oggi ignorate a favore di siti clickbait che favoriscono il diffondersi di fake news? Per questo il Presidente del Parlamento Europeo Antonio Tajani, all’indomani dell’approvazione del decreto sul diritto d’autore, ha proclamato “la vittoria” di tutti i cittadini che hanno scelto di difendere la cultura e la creatività europea. Il copyright è una garanzia non solo di libertà per l’autore, ma anche di qualità e veridicità per il consumatore, che ha il dovere di apprendere ad individuare il valore di ciascun contenuto.

 

Alessia Priori / Liceo Classico Galileo di Firenze

bottom of page